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Costituzione di uno "studio associato"
Facciamo riferimento alla richiesta di parere inerente un quesito sottoposto all’Ordine degli Ingegneri da parte di iscritto all’Albo. In particolare, ci viene richiesto di analizzare i seguenti profili: i) le caratteristiche principali della forma di esercizio professionale qualificata come “studio associato”; ii) i diritti, doveri ed oneri dei componenti; iii) la normativa di riferimento e gli adempimenti necessari per la costituzione di uno studio associato. Infine, viene chiesto se sia possibile costituire uno studio associato tra tre ingegneri iscritti all’Albo e due laureati in Scienze ambientali, e, in caso di risposta negativa, quale sia la forma associativa più semplice per l’esercizio in comune della professione tra i sopra menzionati soggetti. Al fine di analizzare la questione, occorre effettuare una breve disamina della disciplina inerente gli studi associati. 1. La normativa di riferimento. La disciplina giuridica sugli studi associati è contenuta nell’art. 1 della L. n. 1815/1939, ai sensi del quale “le persone che, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale, ovvero autorizzate all'esercizio di specifiche attività in forza di particolari disposizioni di legge, si associano per l'esercizio delle professioni o delle altre attività per cui sono abilitate o autorizzate, debbono usare, nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti coi terzi, esclusivamente la dizione di «studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario», seguito dal nome e cognome, coi titoli professionali, dei singoli associati. L'esercizio associato delle professioni o delle altre attività, ai sensi del comma precedente, deve essere notificato all'organizzazione sindacale da cui sono rappresentati i singoli associati”. La norma sopra menzionata regola solo alcuni aspetti della disciplina delle associazioni tra professionisti. In particolare, l’art. 1 citato impone ai professionisti di utilizzare la dizione di studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario seguito dal nome e cognome, con i titoli professionali, degli associati. Inoltre, l’ultimo capoverso della norma impone la notificazione dell’esercizio associato della professione all’organizzazione sindacale da cui sono rappresentati i singoli associati. Tuttavia, la normativa in questione null’altro aggiunge sulle modalità concrete con cui si svolge l’esercizio associato della professione. 2. Sui rapporti interni ed esterni dello studio associato. Ciò posto, occorre verificare quali siano i rapporti, sia a livello interno che esterno, intercorrenti tra lo studio associato ed i professionisti che ne fanno parte. Sotto un primo profilo, è stato sostenuto che tratto caratterizzante dello studio associato consisterebbe nella possibilità, riconosciuta al singolo professionista, di porre in essere sia la stipulazione sia l’esecuzione dei contratti riguardanti lo studio stesso (cfr. Bauco, Rapporti interni ed esterni, in Bauco – Frezza – Valente, Le società di professionisti, Milano, 2002, 46). Sul punto, la giurisprudenza ha da tempo sottolineato che lo studio professionale associato, così come regolato dall’art. 1 della L. n. 1815/1939, in considerazione della natura personale della prestazione professionale, che ne costituisce l’oggetto, dà luogo ad un fenomeno di rappresentanza reciproca dei professionisti associati, ciascuno dei quali agisce per sé e per gli altri nel rapporto con il cliente, il quale viene reso edotto di tale rappresentanza dalla manifestazione del vincolo associativo imposta dalla legge (cfr. Trib. Milano, 29.4.1985). Conseguentemente, lo studio associato si porrebbe all’esterno come un unico centro di imputazione di interessi, cui sarebbe destinato il corrispettivo dell’obbligazione assunta, ma la prestazione potrebbe essere efficacemente svolta da qualsiasi degli associati, in quanto il contratto d’opera intellettuale presenterebbe, in questo specifico caso, due parti: il cliente e i professionisti riuniti nell’associazione (cfr. Bauco, Rapporti interni ed esterni, in Bauco – Frezza – Valente, Le società di professionisti, Milano, 2002, 46). Sotto un diverso profilo, per quanto riguarda le prestazioni svolte dai singoli professionisti associati allo studio, la giurisprudenza ha rilevato che la responsabilità nell’esecuzione di tali prestazioni, per il cui svolgimento è necessario il titolo di abilitazione professionale, è rigorosamente personale perché si fonda sul rapporto tra professionista e cliente, caratterizzato dall’“intuitus personae” e, perciò, anche se il professionista è associato con altri professionisti in uno studio, ai sensi dell’art. 1 della L. n. 1815/1939, non sussisterebbe alcun vincolo di solidarietà con i professionisti dello stesso studio né per l’adempimento della prestazione, né per la responsabilità nell’esecuzione della medesima (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 29. novembre 2004, n. 22404). 3. Sulla qualifica del contratto associativo e sui diritti, doveri e oneri dei professionisti associati. Secondo un primo orientamento, l’esercizio in forma associata della professione è stato qualificato come contratto associativo con rilevanza interna. Infatti, secondo detto orientamento l’associazione di professionisti non sarebbe configurabile come ente collettivo dotato di soggettività giuridica, delineandosi come un patto con efficacia meramente interna avente ad oggetto la disciplina della comunione dei beni e la suddivisione degli oneri comuni (cfr. Trib. Cagliari, 5 marzo 1993). Secondo un differente orientamento, invece, il contratto inerente l’esercizio associato della professione sarebbe da qualificarsi come contratto avente rilevanza esterna (cfr. Cass. Civ., Sez. Unite, 5 novembre 1993, n. 10942). Secondo un ulteriore orientamento, il contratto di studio professionale associato sarebbe un contratto associativo atipico di carattere misto, che attingerebbe ad elementi di vari istituti, e non coinciderebbe con la società, ma neppure con l’associazione, riconosciuta o non riconosciuta, per la sua struttura di tipo chiuso, avente uno scopo economico, consistente nell’esercizio di un’attività professionale per trarne guadagno (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 16 aprile 1991, n. 4032). Ferme le considerazioni, più o meno condivisibili, legate alla natura giuridica di uno studio associato, si osservi che recentemente è stato sostenuto che uno studio associato, sia che lo si qualifichi come società semplice, come associazione atipica o sui generis o comunque come un contratto associativo con rilevanza esterna, si presenta come un centro di rapporti giuridici distinto dai suoi componenti e, per tale ragione, dotato di rilevanza esterna. Sebbene privo di autonoma personalità giuridica, lo studio associato rientrerebbe, a pieno titolo, nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi quali sono, ad esempio, le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con attività esterna, cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici dotati della capacità di stare in giudizio come tali, in persona dei loro componenti o di chi comunque ne abbia la legale rappresentanza (cfr. Trib. Genova, Sez. VI, 13 gennaio 2006; Cass. civ., Sez. I, 23 maggio 1997, n. 4628). Pertanto, qualunque sia la qualificazione prettamente giuridica della natura del contratto di associazione, permane comunque la condizione per la quale, al fine di addivenire alla creazione di uno studio associato, è necessaria la stipula di un contratto tra i vari professionisti. A tale proposito, quindi, i diritti, doveri e oneri dei professionisti associati dovrebbero essere inseriti all’interno del contratto che crea lo studio associato. Ed infatti, la dottrina ha avuto modo di sostenere che il contratto associativo dovrebbe indicare in modo chiaro e preciso: ? i conferimenti degli associati, specificando la collaborazione effettivamente svolta all’interno dello studio o i mezzi conferiti per lo svolgimento dell’attività, quali denaro, beni, rapporti contrattuali; ? i beni o i rapporti che devono essere restituiti al socio in caso di scioglimento del rapporto; ? la garanzia e i rischi dei conferimenti; la ripartizione dei guadagni e delle perdite; ? la restituzione dei beni conferiti in godimento; ? la liquidazione della quota del socio receduto. Peraltro, qualora il contratto associativo non dovesse disporre alcunché in ordine agli aspetti sopra elencati, troverebbero applicazione le disposizioni riguardanti le società di persone e, in particolare, le società semplici (cfr. Bauco, Organizzazione e rappresentanza, in Bauco – Frezza – Valente, Le società di professionisti, Milano, 2002, 49 e ss.). 4. Sulle modalità di costituzione di uno studio associato. Al fine di costituire uno studio associato, la legge non sembrerebbe richiedere alcuna forma particolare. Conseguentemente, ci si potrebbe limitare anche ad un accordo verbale. Tuttavia, appare opportuno ricordare che la costituzione mediante accordo verbale potrebbe risultare poco pratica in quanto: “- si dovrebbero comunque formalizzare i dati necessari per effettuare le comunicazioni obbligatorie; - sul piano operativo è indispensabile stabilire tra gli associati patti ben chiari e completi, per prevenire controversie future (per amministrazione, assegnazione di incarichi, riparto di utili […]; - ai fini dei rapporti con i terzi, l’atto scritto, meglio se pubblico può servire per intestare beni/rapporti contrattuali allo Studio […]” (cfr. Bauco – Frezza – Valente, Studio professionale: esempio di atto costitutivo e statuto, in Le società di professionisti, Milano, 2002, 176). 5. Sulla possibilità di costituire uno studio associato tra ingegneri e laureati in Scienze ambientali. La fattispecie posta alla nostra attenzione riguarda precisamente la possibilità di costituire uno studio associato tra tre ingegneri e due laureati in Scienze ambientali. A tale proposito, parte della dottrina, anche se critica sul punto, sembrerebbe propensa a sostenere che la forma di associazione prevista dall’art. 1 della L. n. 1815/1939 sarebbe riservata esclusivamente agli iscritti agli albi professionali ovvero a dei professionisti abilitati, in quanto la disciplina citata tratta di professioni ed altre attività per cui è richiesta l’abilitazione (cfr. Leozappa, Società e professioni intellettuali, Milano, 2004, 150). Infatti, l’art. 1 della L. n. 1815/1939 consentirebbe “a talune categorie di professionisti protetti” di “associarsi” nell’esercizio delle professioni utilizzando la dizione di studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario, seguita dal nome e cognome, coi titoli professionali dei singoli associati (cfr. Mucciarelli, Le società tra professionisti dopo la legge “Bersani”, nota a Trib. Milano, 27 maggio 1998, in Giur. It., 1999, 1012). In conseguenza di ciò, dato atto della mancanza di pronunce giurisprudenziali sullo specifico punto, sembrerebbe che non possa essere costituito un studio associato tra ingegneri e laureati in scienze ambientali in quanto, per questi ultimi, non parrebbe esistere un albo professionale od una specifica abilitazione necessaria al fine dello svolgimento della professione. 6. Sull’eventuale altra forma di esercizio associato della professione. Infine, non sembrando possibile la costituzione di uno studio associato tra professionisti e soggetti non iscritti ad albi professionali, occorre verificare brevemente quale altra forma di esercizio associato possa essere utilizzata al fine di svolgere in comune la professione tra ingegneri e laureati in scienze ambientali. Sotto un primo profilo, occorre verificare se tra tali professionisti possa essere costituita una società professionale. A tale proposito, pare utile ricordare che, secondo la definizione fornita dalla dottrina, per società professionali si intendono quelle che hanno per oggetto unico ed esclusivo l’esercizio in comune dell’attività professionale (cfr. Frezza, Società di professionisti: un’analisi storico-ricostruttiva, in Bauco – Frezza – Valente, Le società di professionisti, Milano, 2002, 4). Più precisamente, sarebbero da ricondurre al novero delle società professionali, “anzitutto, le società che hanno come oggetto l’esercizio delle professioni protette e che sono costituite ai sensi della legge n. 1815/1939 dagli iscritti ai relativi albi; quindi, quelle costituite, ad opera dei soggetti che hanno acquisito il richiesto livello di preparazione e conoscenze per l’esercizio di quelle attività implicanti una competenza intellettuale che […] sono disciplinate legislativamente senza essere ordinate ai sensi dell’art. 2229 c.c.” (cfr. Leozappa, Società e professioni intellettuali, Milano, 2004, 269). Peraltro, sembra opportuno rilevare che la qualificazione come professionale di un’attività che implica il predominio delle capacità intellettuali dipenderebbe dalla sua riconducibilità alla sfera di competenza che la legge attribuisce alle professioni protette unitamente alla circostanza, di fatto e di diritto, per cui l’attività sia resa da un iscritto all’albo (cfr. Leozappa, Società e professioni intellettuali, Milano, 2004, 266). In conseguenza di ciò, attesa la mancanza di un albo, di una abilitazione ovvero di una specifica disciplina legislativa in merito alla professione esercitata da un laureato in scienze ambientali, non sembrerebbe possibile la costituzione di una società professionale tra tali soggetti e degli ingegneri. Sotto un differente profilo, ferme restando le considerazioni sopra svolte, pare necessario prendere in esame la possibilità di costituire una società tra laureati in scienze ambientali e ingegneri avente caratteristiche diverse da quelle proprie delle società professionali. In particolare, al fine di costituire una società tra i soggetti sopra indicati, occorrerebbe che la costituenda società non abbia come oggetto sociale lo svolgimento di attività riservate dalla Legge alle cosiddette “professioni protette”. Con riferimento al caso di specie, quindi, la costituenda società potrebbe, a titolo esemplificativo, avere ad oggetto la prestazione di servizi aventi natura complessa, che presuppongano la predisposizione di un apparato d’impresa e che non si risolvano semplicemente nello svolgimento di attività prettamente professionali Avv. M. Cristina Colombo Studio Legale Galbiati, Sacchi e Associati
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