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Responsabilità su contestazione del titolo abilitativo da parte di terzi aventi diritto

1. Premessa.

L’ordine degli Ingegneri della Provincia di Varese chiede di esprimere un parere in ordine alla eventuale concretizzazione e limitazione della responsabilità in capo al progettista, al direttore lavori o ad altri soggetti nel caso di contestazione riguardante la realizzazione di un’opera edilizia, da parte di terzi aventi diritto.

2. La normativa di riferimento. Ai fini dell’analisi della fattispecie risulta anzitutto rilevante la normativa contenuta nel D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia). Più precisamente, l’art. 29 del T.U., ai sensi del quale “il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l'esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso”. D’altra parte, in relazione alla responsabilità penale, risulta rilevante la normativa contenuta nell’art. 44 del medesimo T.U, contenente la disciplina riguardante le sanzioni penali applicabili in caso di abuso edilizio. Da ultimo, sotto il profilo civilistico, rileva la disciplina contenuta nell’art. 1176 c.c., ai sensi del quale “nell’adempiere l’obbligazione, il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia” e “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

3. Responsabilità sotto il profilo amministrativo. Nelle ipotesi di abuso edilizio, i soggetti cui va attribuita la responsabilità sono individuati dall’art. 29 del D.P.R. n. 380/2001. Ai sensi di tale norma, sono responsabili dell’abuso il titolare del permesso di costruire, il committente ed il costruttore, per quanto attiene alla conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano, nonché, unitamente al direttore dei lavori, alle previsioni e modalità esecutive indicate nel permesso di costruire. La corresponsabilità di tali soggetti comporta che questi siano “tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l’esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso”. Per quanto riguarda il direttore lavori, costui, oltre ad essere responsabile, unitamente al titolare del permesso di costruire, al committente ed al costruttore, in ordine al pagamento delle sanzioni pecuniarie e, in solido con essi, alle spese inerenti l’esecuzione in danno di eventuali demolizioni, è altresì espressamente gravato della responsabilità inerente la conformità delle opere edilizie al progetto assentito ed alle eventuali modalità esecutive fissate dal titolo (cfr. Cogliani, Art. 29, Testo Unico dell’Edilizia, a cura di Sandulli, Milano, 2004, p. 342). L’art. 29, comma 2, del T.U. Edilizia, prevede tuttavia una causa di esclusione della responsabilità propria del direttore lavori. Quest’ultimo, infatti, investito dalla legge di un ruolo di garante sul piano pubblicistico della conformità dell’intervento a quanto assentito dall’Amministrazione, non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni contenute nel permesso di costruire, nonché comunicato l’abuso al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale. Inoltre, nel caso in cui l’abuso assuma caratteristiche tali da configurare l’ipotesi di totale difformità o variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, il direttore dovrà, contestualmente a detta comunicazione, rinunciare all’incarico. In difetto di ciò, oltre alla corresponsabilità nell’abuso edilizio, la condotta del direttore dei lavori potrebbe essere oggetto di possibile sanzione disciplinare della sospensione dall’albo professionale da un minimo di tre mesi ad un massimo di due anni. Si tratta peraltro di una sanzione non automatica, ma rimessa alla valutazione discrezionale del Consiglio dell’Ordine di appartenenza (cfr. Cogliani, Art. 29, Testo Unico dell’Edilizia, a cura di Sandulli, Milano, 2004, p. 343). In ordine, invece, alla posizione del progettista, l’ultimo comma dell’art. 29 del T.U. Edilizia, disciplina la particolare responsabilità penale e disciplinare in cui tale soggetto incorre in caso di dichiarazioni non veritiere espresse nella relazione da esso predisposta e asseverata, relativamente agli interventi edilizi soggetti a DIA. È noto che il progettista, nella relazione di accompagnamento alla DIA, deve asseverare unicamente la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e la non contrarietà a quelli adottati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie. Invece, in sede di collaudo finale, il professionista deve attestare la conformità dell’opera al progetto. Sotto un profilo prettamente sanzionatorio, l’art. 23, comma 6, del T.U. Edilizia, dispone che nel caso in cui venga riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, viene notificato all'interessato “l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza”. In forza di tale norma il progettista, limitatamente ai progetti edilizi realizzati mediante DIA assume, la qualifica di “persona esercente un servizio di pubblica necessità” ai sensi degli artt. 359 e 481 c.p., disposizione, quest’ultima, relativa al reato di falso ideologico. Per quanto concerne il titolare del permesso di costruire, il committente ed il costruttore, essi sono corresponsabili dell’abuso, e perciò soggetti al pagamento della sanzione pecuniaria e, in solido, al pagamento delle spese per l’esecuzione in danno. Infine, un ulteriore soggetto che può risultare responsabile dell’abuso è il proprietario dell’immobile. Infatti, la configurazione dell’illecito edilizio come reato proprio non impedisce il concorso dell’estraneo nella contravvenzione, tutte le volte in cui soggetti diversi dai destinatari degli obblighi prescritti dall’art. 29 del T.U. Edilizia, abbiano compartecipato all’attività edilizia illecita. Pertanto, atteso che l'autore materiale del reato va individuato in colui che, con propria azione, esegue l'opera abusiva, ovvero la commissiona ad altri, anche se difetti della qualifica di proprietario del suolo sul quale si è edificato, l'obbligo giuridico di impedire l'evento certamente non sussiste in capo al nudo proprietario dell'area interessata dalla costruzione, non essendo esso sancito da alcuna norma di legge (cfr. TAR Toscana, Sez. III, 29 gennaio 2003, n. 121). E’ necessario far rilevare, tuttavia, che la responsabilità del proprietario per la realizzazione di una costruzione abusiva, ad opera di un terzo, può essere ricostruita sulla base di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti, desumibili dalla disponibilità giuridica e di fatto del suolo, dal rapporto di coniugio, dalla circostanza di risiedere stabilmente nel luogo dove si è edificato, dal comune interesse all'edificazione per soddisfare esigenze familiari (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 11 febbraio 2003, n. 12017).

4. Responsabilità sotto il profilo penale. Per quanto riguarda la responsabilità in ambito penale, occorre prendere in considerazione la disciplina contenuta nell’art. 44 del T.U. Edilizia. Ai sensi di detto articolo, salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica:

a) l'ammenda fino a 20.658 euro per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal titolo IV del T.U. Edilizia, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire;

b) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 10.328 a 103.290 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione;

c) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 30.986 a 103.290 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal comma 1 dell'articolo 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso. Le disposizioni appena descritte si applicano anche agli interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante denuncia di inizio attività, eseguiti in assenza o in totale difformità dalla stessa.

Per quanto riguarda il direttore dei lavori, su di lui grava una posizione di garanzia circa la regolare esecuzione dei lavori, con la conseguente responsabilità per le ipotesi di reato previste dalla legge; responsabilità dalla quale questi può andare esente soltanto ottemperando agli obblighi di comunicazione e rinuncia all'incarico previsti dall'art. 29 del D.P.R. n. 380/2001 (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 24 febbraio 2004, n. 15283). In ordine alla posizione del progettista, invece, la giurisprudenza ha avuto modo di constatare che quest’ultimo, in caso di abuso edilizio, non risponde dei reati sopra indicati, neanche a titolo di concorso, atteso che la fase di redazione di un progetto, anche se difforme dalla normativa vigente, va tenuta distinta da quella di direzione dei lavori, e non può configurarsi un nesso di causalità tra la redazione del progetto e l'attività di attuazione dello stesso, per la quale soltanto sussiste rilevanza penale (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 12 dicembre 2002, n. 8420). Ben distinta, e quindi passibile di sanzione penale, è l’ipotesi in cui il progettista, in concorso con il committente, abbia redatto un progetto alterando dolosamente lo stato dei luoghi per ottenere una concessione in realtà non conforme alla normativa (cfr. Cajelli, Gli abusi edilizi - Vigilanza e sanzioni, Bergamo, 1999, p. 83). Per quanto concerne la responsabilità in capo al titolare del permesso, al committente e al costruttore, mentre nell’ipotesi di sanzioni amministrative, essi sono obbligati in solido al pagamento della sanzione pecuniaria, nell’ambito penale non si determina una sola obbligazione con molteplici corresponsabili in solido. Si configurano, invece, una pluralità di autonome e distinte obbligazioni in capo ad ogni singolo responsabile (cfr. Cajelli, Gli abusi edilizi - Vigilanza e sanzioni, Gorle (BG), 1999, p. 82).

5. Responsabilità sotto il profilo civile. Il rilascio dei titoli abilitativi all’edificazione rende legittimo l’esercizio dello jus aedificandi nei confronti della Pubblica Amministrazione, ma non produce effetti nei rapporti intersoggettivi di diritto privato (cfr. in dottrina, Fiale, Diritto Urbanistico, Napoli, 2000, p. 436; in giurisprudenza, ex multis, Cass., Sez. II, 14 ottobre 1998, n. 10173; Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 1993, n. 1341). Pertanto, indipendentemente da profili di responsabilità di carattere amministrativo e penale, eventuali profili di responsabilità civile del progettista e del direttore lavori potrebbero sorgere sia in relazione ad eventuali cause promosse da terzi nei confronti di colui che ha ottenuto il titolo abilitativo edilizio, sia in relazione ai rapporti esistenti tra il progettista e colui che ha affidato l’incarico di progettazione. Sotto tale profilo, assume rilievo la qualifica del progettista e del direttore dei lavori come prestatori d’opera intellettuale. La figura del prestatore d’opera intellettuale è normalmente regolata dall’art. 1176 c.c., che fa obbligo di usare, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti l’attività professionale, la diligenza del buon padre di famiglia, da valutarsi secondo la natura dell’attività esercitata, con la conseguenza che si risponde anche per colpa lieve (cfr. Art. 1176, Codice Civile, a cura di Rescigno, Milano, 2001, p. 1140). Infatti, la giurisprudenza ha avuto modo di constatare che il professionista “è obbligato ad usare la diligenza del buon padre di famiglia, con la conseguenza che l'irrealizzabilità dell'opera per erroneità od inadeguatezza -anche per colpa lieve, in mancanza di problemi tecnici di particolare difficoltà - del progetto affidatogli, costituisce inadempimento dell'incarico” (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 4 novembre 2004, n. 21110). Per quanto riguarda, quindi, la responsabilità del direttore dei lavori, questa appare configurabile, ai sensi dell’art. 1176 c.c., ogni qualvolta il professionista, anche per colpa lieve non abbia ben adempiuto al suo incarico (cfr. in tal senso, De Tilla, L’ appalto privato e pubblico, Milano, 1996, p. 604). In ordine, invece, alla posizione del progettista, la dottrina ha specificato che il professionista incaricato della redazione di un progetto edilizio non ha solo l’obbligo di attenersi, nell’espletamento della sua prestazione, alle regole e alle valutazioni tecniche intrinsecamente inerenti la sua professione. Poiché la realizzazione di un progetto ha comunque dei riflessi anche di natura giuridica, egli è tenuto a conoscere anche le norme giuridiche applicabili al progetto richiesto, in considerazione della natura dell’opera o della sua localizzazione e di redigere un progetto conforme a tali norme. Ove così non faccia, egli commette una negligenza e per ciò incorre in responsabilità ai sensi dell’art. 1176 c.c. Lo stesso principio è stato ribadito anche dalla giurisprudenza, la quale ha precisato che, tra gli obblighi del professionista, rientra quello di redigere un progetto conforme, oltre che alle regole tecniche, anche alle norme giuridiche che disciplinano le modalità di edificazione su un dato territorio (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 4 novembre 2004, n. 21110; Cass. Civ. Sez. II, 16 febbraio 1996, n. 1208; Trib. Catania, 8 aprile 2005, n. 1100). Pertanto, a titolo esemplificativo, il committente ha diritto di rivalsa nei confronti del progettista per i danni subiti per la riduzione in pristino dell’opera eseguita, in conformità al progetto, in violazione delle distanze legali (cfr. Cass. Civ., 3 novembre 1979, n. 5699). Nel caso in cui, invece, il progettista avesse effettivamente considerato le norme giuridiche, ma sia incorso in errore circa la relativa interpretazione, il suo comportamento potrebbe essere ricondotto alla categoria dell’imperizia, ricadendo, quindi, nel campo di applicazione dell’art. 2236 c.c. In questo modo, la responsabilità in capo al progettista presuppone il dolo o la colpa grave (cfr. Caliceti, “Il progettista e le sue responsabilità”, in L’appalto privato, Trattato diretto da Costanza, Torino, 2000, p. 369). Sotto un diverso profilo, per quanto riguarda la responsabilità dell’impresa appaltatrice, si segnala che questa è obbligata a controllare, nei limiti delle sue cognizioni tecniche, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente ed, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di aver manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo (cfr. Cass. Civ., 29 gennaio 1983, n. 821; Trib. Brescia, Sez. III, 21 febbraio 2003). Conseguentemente, la responsabilità del committente nei riguardi dei terzi, risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso “dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso - tanto che l'appaltatore finisca per agire quale nudus minister privo dell'autonomia che normalmente gli compete - o allorquando risultino presenti gli estremi della culpa in eligendo, il che si verifica se il compimento dell'opera o del servizio sono stati affidati ad un'impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi” (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 2 marzo 2005, n. 4361).

6. Conclusioni. Alla luce delle considerazioni sopra svolte pare possibile concludere come segue.

? Per ciò che concerne la responsabilità sotto il profilo amministrativo:

i) per quanto riguarda il direttore lavori, nei casi di abuso edilizio, su di esso grava il dovere inerente la conformità delle opere edilizie al progetto assentito ed alle eventuali modalità esecutive fissate dal titolo. Qualora tale dovere risultasse violato, risulta responsabile per il pagamento delle sanzioni pecuniarie e, in solido con gli altri soggetti responsabili dell’abuso, delle spese per l’esecuzione in danno in caso di sanzione demolitoria. La responsabilità del direttore lavori viene meno qualora egli abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni contenute nel permesso di costruire, nonché comunicato l’abuso al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale; nell’ipotesi di totale difformità o variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, il direttore dovrà, contestualmente a detta comunicazione, rinunciare all’incarico.

ii) In ordine alla figura del progettista, questo responsabile delle dichiarazioni di asseverazione presenti nella relazione di accompagnamento alla DIA e riguardanti la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e la non contrarietà a quelli adottati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie. Inoltre, è responsabile, in sede di collaudo finale, per quanto riguarda l’attestazione della conformità dell’opera al progetto. Essendo il progettista, limitatamente ai progetti edilizi realizzati mediante DIA, considerato quale “persona esercente un servizio di pubblica necessità”, risponderà del reato di falso ideologico ai sensi dell’art. 481 c.p.

iii) Per quanto riguarda, invece, il titolare del permesso di costruire, il committente ed il costruttore, essi sono corresponsabili dell’abuso, e perciò soggetti al pagamento della sanzione pecuniaria e, in solido, al pagamento delle spese per l’esecuzione in danno.

iv) Infine, il proprietario dell’immobile abusivo può essere gravato dalla responsabilità dell’abuso solo in caso si provi che costui abbia collaborato alla realizzazione dell’abuso o non vi si sia opposto, circostanza che può essere ricostruita sulla base di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti, desumibili dalla disponibilità giuridica e di fatto del suolo, dal rapporto di coniugio, dalla circostanza di risiedere stabilmente nel luogo dove si è edificato, dal comune interesse all'edificazione per soddisfare esigenze familiari.

Per quanto riguarda invece i profili di responsabilità penale:

i) rispetto alla figura del direttore lavori, la responsabilità in ordine alle ipotesi di reato previste dalla legge può essere esclusa soltanto ottemperando agli obblighi di comunicazione e rinuncia all'incarico previsti dall'art. 29 del D.P.R. n. 380/2001.

ii) In ordine del progettista, in caso di abuso edilizio, non risponde dei reati previsti, neanche a titolo di concorso, in quanto la fase di redazione di un progetto, anche se difforme dalla normativa vigente, deve essere distinta da quella di direzione dei lavori, e non può configurarsi un nesso di causalità tra redazione del progetto e attuazione dello stesso, avendo solo quest’ultima rilevanza penale.

iii) Per quanto riguarda, invece, la responsabilità del titolare del permesso, del committente e del costruttore, si configura in capo a ciascuno una autonoma responsabilità penale per l’abuso edilizio.

Infine, per ciò che concerne profili di responsabilità sotto un profilo civilistico:

i) rispetto alla posizione del direttore lavori, che l’attività di quest’ultimo è qualificabile alla stregua di un prestatore d’opera intellettuale, quindi, ai sensi dell’art. 1176 c.c., sarà responsabile allorquando, anche per colpa lieve, non abbia adempiuto al suo incarico.

ii) In ordine alla figura del progettista, il professionista incaricato della redazione di un progetto edilizio non ha solo l’obbligo di attenersi, nell’espletamento della sua prestazione, alle regole e alle valutazioni tecniche intrinsecamente inerenti la sua professione, ma è anche tenuto a conoscere le norme giuridiche applicabili al progetto richiestogli, in considerazione della natura dell’opera o della sua localizzazione e di redigere un progetto conforme a tali norme. Ove così non faccia, egli commette una negligenza e per ciò incorre in responsabilità ai sensi dell’art. 1176 c.c.. Nel caso in cui, invece, il progettista sia incorso in errore circa l’interpretazione delle norme giuridiche, il suo comportamento potrebbe essere ricondotto alla categoria dell’imperizia, ricadendo, quindi, nel campo di applicazione dell’art. 2236 c.c., ai sensi del quale la responsabilità in capo al progettista sarebbe subordinata alla presenza di dolo o colpa grave.

iii) Per quanto riguarda gli altri soggetti che possano essere qualificati come civilmente responsabili, si segnala che l’impresa appaltatrice dei lavori è obbligata a controllare, nei limiti delle sue cognizioni tecniche, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente ed, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di aver manifestato il proprio dissenso e di essere stata indotto ad eseguirle per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo.

iv) Infine, il committente risulta responsabile nei riguardi dei terzi qualora si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso o quando risultino presenti gli estremi della culpa in eligendo, cioè se il compimento dell'opera o del servizio sono stati affidati ad un'impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi.

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